Difficoltà scolastiche cosa fare? Negli ultimi tempi si continua a discutere sull’immane numero di diagnosi e certificazioni per i disturbi dell’apprendimento, denominati “DSA”, criticandone l’eccessiva medicalizzazione.
Tuttavia, se si esaminano i dati del MIUR del 2016, la percentuale di diagnosi per dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia, quali disturbi specifici di apprendimento, si aggira intorno al 2% della popolazione scolastica.
Ciò sta a significare che, da una parte, il fenomeno sta prendendo sempre più importanza, dall’altra, sono ancora tanti gli alunni con delle specifiche difficoltà che non sono considerate nel modo più adeguato.
I guai sembrano cominciare con l’ingresso nella scuola primaria, i bambini sembrano non avere alcun interesse ad apprendere, appaiono pigri e svogliati e vengono descritti come bambini che non si applicano.
Ad un’ attenta valutazione ci si accorge quasi immediatamente delle notevoli differenze tra le difficoltà scolastiche, individuate spesso come scarso impegno e bassa motivazione e i disturbi di apprendimento di natura neuropsicologica.
I ragazzi e le ragazze con DSA non è che non vogliono studiare o non vogliono sforzarsi di imparare.
Hanno delle disfunzioni neurobiologiche, che interferiscono con il normale apprendimento della lettura, della scrittura e del calcolo, lasciando integro il funzionamento intellettivo generale.
Spesso, però, i ragazzi si convincono di non avere alcuna abilità e che non si possa fare molto, sviluppando atteggiamenti di rinuncia e di evitamento.
Si aspettano di fallire continuamente. A volte, la sfiducia e lo scoraggiamento, può abbassare così tanto il livello di autostima e il tono dell’umore da sfociare in un rifiuto del ragazzo a frequentare la scuola per evitare di affrontare il problema. Iniziano così tutta una serie di proteste (pianti inconsolabili, scoppi di rabbia) e malesseri generali (mal di pancia, mal di testa) che si possono presentare sia al momento di andare a scuola sia dopo l’arrivo a scuola.
Non si sa cosa fare, come intervenire, soprattutto i genitori.
Aiutare i figli più di quanto si sta facendo o al contrario punirli per le brutte prestazioni? Rinunciare a tutto e lasciare che le cose facciano il loro corso risolvendosi da sole, con il tempo e senza troppi drammi?
Nella mia esperienza di collaborazione sia con le scuole sia con la Asl di Roma, ho appurato che l’obiettivo deve essere quello di creare nel bambino l’idea del rapporto che esiste tra il suo impegno personale, l’uso di tecniche e strategie di studio appropriate e il successo ottenuto nelle prestazioni scolastiche.
Da qui deriva la necessità di adeguare la didattica, raccomandando l’utilizzo di specifici strumenti compensativi e/o misure dispensative, come previsto dalla Legge 170/2010 sui DSA, per rendere la strada del bambino, già difficile e in salita, meno faticosa.